CAPPELLA MUSICALE
BASILICA S.MARIA DEI SERVI
PROFILO STORICO E CARATTERISTICHE a cura di Piero Mioli
È lunga, la vita delle cappelle musicali dell’Occidente cristiano, lunga e conseguentemente resa complessa tra aperture e chiusure, periodi di gloria e momenti di buio, maestranze ed elementi di più o meno notevole quantità e capacità. La situazione vige particolarmente in Italia, visto il numero delle città capitali di stato o anche d’arte e di cultura; e prospera, ovviamente, nello stato della Chiesa, con l’assoluta centralità di Roma. Ma anche Bologna, la seconda delle città pontificie, brillava di molte, solerti, valenti cappelle musicali. Il fatto stesso che la città godesse di una certa libertà produsse due principali fabbriche religiose e quindi cappelle musicali: la cattedrale di S. Pietro che rappresentava Roma e il papa, con un suo cardinale-guida delle anime; e la basilica di S. Petronio, che rappresentava invece la città, il suo senato e il suo popolo, mentre un altro cardinale, il cardinal-legato, si occupava di più contingenti mansioni cittadine. Costruita a cominciare dal 1346 con convento annesso, anche la basilica di S. Maria dei Servi (l’ordine dei Servi di Maria era sorto nella prima metà del Duecento) ha goduto di una cappella musicale caratterizzata da sorti alterne, producendo musicisti ragguardevoli, padri appunto “serviti” e autori di belle musiche sia sacre che profane come Attilio Ariosti (suo provetto organista) oppure, qua e là nel tempo, riducendosi al silenzio. Ma nel 1933, celebrandosi il settimo centenario dell’ordine, la cappella è rinata, comprendendo le classiche quattro voci della polifonia: soprani, fanciulli orfani o poveri del collegio “Primodì”; contralti, giovani chiesti invece al Seminario Servitano di Ronzano; tenori e bassi di varia origine e condizione cittadina (o limitrofa). Primo dovere di una cappella è sempre stato quello di accompagnare la liturgia, e così risulta che inizialmente cadenzassero le messe i canti gregoriani dell’Ordinarium (Kyrie e così via) e alcune musiche sacre contemporanee, quelle per esempio di Lorenzo Perosi ispirate al movimento ceciliano e al Motu proprio di Pio X (1903); ma intanto a cantare il Proprium della messa (dall’Introito alla Communio) secondo il venerabile gregoriano erano i frati del convento, seppure solo nelle occasioni delle feste maggiori. Alla fine della seconda guerra mondiale, rinascendo la civiltà la cappella fu affidata a padre Giovanni Catena, poi vice-direttore della Cappella Sistina in Roma. Subito dopo, era destino che passasse a padre Pellegrino Santucci (1921-2010), che l’avrebbe retta, potenziata, caratterizzata in sommo grado fino agli ultimi anni di vita. I primi provvedimenti dell’indomito e inflessibile compositore riguardarono l’organico e il repertorio. Alle voci bianche dei fanciulli subentrarono le voci, sempre chiare ma più timbrate e musicali, delle donne (non senza proteste di superiori ancora legati al precetto che negava il canto chiesastico alla donna). Agli anonimi, ancorché ineffabili canti gregoriani si aggiunsero firmatissime musiche rinascimentali, barocche e classiche di Palestrina, Lasso, Victoria, Carissimi, Schütz, Bach, Händel, Marcello, Pergolesi, Haydn, Mozart in forma di messa, mottetto, cantata spirituale, salmo, sequenza e su testi relativi. E al tradizionale canto a cappella, ovvero senza supporto strumentale, si dovette aggiungere un’orchestra di strumenti ad arco che rendesse conto di stili più moderni e concertistici. Da qui al concerto vero e proprio il passo fu breve: dalla pur fondamentale funzione liturgica si passò dunque all’esecuzione autonoma, davanti a un pubblico non limitato a un’assemblea di fedeli, in aspetto di libera serata concertistica alla maniera dei teatri e delle stagioni lirico-sinfoniche. Fra le maggiori soddisfazioni raccolte allora dalla cappella si registrano la partecipazione al X Concorso “Guido d’Arezzo”, indiscutibile luogo d’incontro e conoscenza, e la frequentazione del Lassusmusikreis di Monaco di Baviera, gruppo avvezzo sì alla coralità ma anche alla bicoralità e policoralità ben degno di essere ascoltato e imitato. Nel 2002 la direzione è passata al giovane maestro Lorenzo Bizzarri, che ha mantenuto il messaggio e l’orientamento di padre Santucci continuando ad arricchire il repertorio. Attualmente la cappella consta di una cinquantina di elementi, tutti volontari ed estranei a ogni concetto di lavoro e quindi lucro, e di un repertorio in costante ascesa, interessato tanto alla nota coralità classica quanto a musiche rare, poco praticate, di tutti i tempi, dalle origini al copioso catalogo di padre Santucci stesso. Dal repertorio, oltre a quanto appena citato: il Gloria e il Magnificat di Vivaldi, la Passione secondo San Giovanni e la Messa in si min. di Bach, la Nelsonmesse di Haydn, lo Stabat Mater di Pergolesi e di Rossini, il Requiem di Fauré; le Litaniae lauretanae, le Litaniae de venerabili altaris sacramento, la Messa dell’incoronazione, il Requiem di Mozart, e di padre Santucci Stabat Mater, Il fiore d’Israele, Jubilaei Festum, Lamentationes Jeremiae Prophetae, grandi oratori per soli, coro e orchestra. Evento speciale, per la cappella stessa ma anche per la cittadinanza bolognese che vi accorre regolarmente, sono infine il Messiah di Händel, programmato spesso nell’imminenza del Natale, e il concerto di Natale stesso, che alterna famose pagine di musica d’arte e brani della tradizione popolare accortamente elaborati, nel pieno spirito della pietà e carità cristiana. Con questo repertorio, la cappella si è esibita anche fuori chiesa e fuori città, per esempio nel duomo di Modena, nel duomo di Ferrara, a Roma in S. Maria degli Angeli, a Ravenna in S. Apollinare Nuovo e ad Assisi nella chiesa superiore di S. Francesco. Per le sue necessità strumentali e polistrumentali la cappella ricorre a un’orchestra giovanile di recente e sua propria costituzione, Gli strumentisti dei Servi (non si dimentichi che cappella significa gruppo di musicisti sia di canto che di suono). Intanto, il fondamento strumentale più tipico per un complesso di musica sacra rimane l’organo: costruito dalla ditta Tamburini di Crema con la superiore consulenza di Luigi Ferdinando Tagliavini e oggi affidato all’organista Roberto Cavrini, l'organo grandioso attualmente operante risale al 1967 e vanta quattro tastiere di 5 ottave (tre manuali, una pedaliera), 58 registri reali e 4200 canne. Dal Cinquecento a tutto l'Ottocento in basilica avevano suonato ben cinque organi diversi, di dimensioni e posizione, ma nel negli anni Venti del Novecento ne era rimasto uno solo, sempre meno efficiente nel tempo. Ecco dunque che, fra entusiasmi e polemiche, verso il 1960 il maestro di cappella p. Pellegrino Santucci propose e il superiore della provincia di Romagna p. Giuseppe Gherardi approvò la costruzione di un nuovo strumento, un organo “onnipotente” che sapesse onorare ogni repertorio antico e moderno, barocco e romantico: a trasmissione meccanica, con intonazione e timbrica nitida e brillante, chiara gerarchia di corpi (grand'organo, positivo, eco, pedale), canne di stagno o rame o leghe (mai zinco), legni pregiati quali bosso ed ebano, soluzioni italianissime come principali e ripieni alla Antegnati (fino alla voce umana), flauti alla Callido, ance alla Serassi (fino alla violetta e alla voce flebile), pressione d'aria fra i 40 e i 50 millimetri d'acqua. Quando il vecchio organo riusciva a suonare bene, «ogni concerto era un miracolo!» esclamava p. Santucci. Nessun dubbio sul nuovo: ogni suo concerto è un miracolo di tecnica, storia, musica, e quindi, sempre, di fede. Come di regola l'organo accompagna la liturgia (grazie al giovane Matteo Bonfiglioli) ma si presta anche a concerti pubblici, mediante organizzazioni esterne che ne facciano domanda come ad esempio la vicina Accademia Filarmonica.